Il razzismo fa parte della nostra cultura

da Huffington Post, del 19/12/2016 di Filippo Miraglia Vicepresidente Arci

Sintetizzando quanto emerge dal quarto rapporto di Carta di Roma potremmo dire che c’è una “normalità” nella violenza verbale, negli insulti e nell’intolleranza diventati tratto saliente dell’identità del Paese. I dati raccontano di “un’emergenza” autoprodotta, che continua a essere raccontata quotidianamente, segnandone la “normalità”.

Mentre su carta stampata e Tv (su quest’ultima in misura leggermente minore rispetto alle edizioni di prima serata del 2015, nei quotidiani monitorati, invece, con un aumento del 10% sulle prime pagine) i toni sembrano essere meno urlati del 2015, nei social network e nella rete, dove la comunicazione non è mediata, esplode una cultura intollerante e razzista che è stata alimentata e coltivata in questi anni.

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no di ragionare partendo dai fatti e dai numeri reali, inondati da insulti di persone che considerano i migranti e chi ha posizioni ragionevoli i maggiori colpevoli di tutti i mali della nostra società. D’altro canto la gestione dell’accoglienza dal 2011, periodo in cui era ministro dell’Interno il leghista Maroni, è stata sempre caratterizzata da un approccio che produce la logica dell’emergenza.

Una scelta che suscita reazioni negative da parte dei territori e quindi alimenta un razzismo diffuso e collettivo. Le vicende dell’ultimo anno in alcuni piccoli centri di provincia – tra tutti ricordiamo i fatti di Goro, in provincia di Ferrara – così come nelle grandi città, sembrano ancor prima che guidate da attori politici interessati, reazioni “a pelle”, istintive.

Reazioni prodotte non da un ragionamento, da motivi reali, quando da un odio e da un’intolleranza irrazionali, cresciute nella testa e nella pancia di migliaia di persone in questi ultimi anni. Il legame stretto con il tema dell’Europa, sempre meno popolare anche in un Paese europeista come il nostro, è un terribile amplificatore di odio. L’Europa è considerata, e non del tutto a torto, corresponsabile delle scelte che anziché risolvere la crisi hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone.

E poiché è diventata lo spazio politico in cui si scontrano i governi dei paesi membri sul tema delle frontiere e dell’accoglienza, l’Ue rappresenta di fatto una sorta di moltiplicatore della diffusa intolleranza contro i migranti. La diffusione di notizie e interpretazioni negative e stereotipate della presenza dei migranti produce reazioni che a loro volta diventano notizie che vanno a rafforzare le ragioni di chi pensa che le proprie difficoltà siano strettamente legate alla presenza dei migranti.

Questo fenomeno trova la sua massima espressione proprio nella rete e in particolare, ma non solo, nei social media. Ecco che la battaglia contro le parole d’odio, i predicatori d’odio – così come ha giustamente fatto la Presidente della Camera Laura Boldrini contro coloro che utilizzano insulti e parole d’odio contro le donne in rete – va fatta scegliendo il terreno della denuncia diretta, che prescinde dal dibattito sui fatti.

Allo stesso tempo, come emerge dai dati del Rapporto di Carta di Roma, va aperta, soprattutto con il servizio pubblico ma non solo, una vertenza per la “par condicio”. Emerge infatti che ai diretti interessati, ai rifugiati, ai migranti, non viene praticamente mai data la parola nel trasmettere notizie che li riguardano.

Ma è anche necessario far intervenire le organizzazioni sociali, gli antirazzisti, quei soggetti collettivi che promuovono e tutelano i diritti dei migranti, ai quali i mass media, soprattutto stampa e Tv, tranne pochissimi casi, non consentono mai di intervenire. Manca così nel dibattito pubblico, di fronte al proliferare di imprenditori politici e sociali dell’odio, un soggetto che rappresenti il campo dei diritti. Una vergogna che va sanata al più presto.

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