Il Business dei ricongiungimenti

Aspettare anni o pagare fino 2500 euro per un visto. È quello che succede all’ambasciata italiana di Nairobi secondo l’Arci: i profughi somali che vogliono raggiungere i propri familiari in Italia sarebbero vittime di estorsioni. L’alternativa? Il mare.

Per arrivare in Europa dalla Somalia servono mesi, anche anni se si è sfortunati o si hanno pochi soldi. Si deve attraversare l’Etiopia, il Sudan, l’Egitto, fino all’inferno della Libia e delle sue prigioni. Eppure barattare la propria vita per un posto su un camion nel deserto o su un gommone scassato non fa così paura per chi è abituato a vivere nel terrore instaurato dagli islamisti di Al Shaabab. Adam (nome di fantasia) lo ha fatto: è partito nel 2011, ha lasciato i suoi sei figli a Mogadiscio ed è arrivato in Italia con la speranza che presto sarebbe riuscito a portare qui anche la sua famiglia. Ha ottenuto lo status di rifugiato politico e nel 2013 la prefettura di Roma gli ha concesso il nulla osta per ilricongiungimento familiare. Sua moglie e i suoi bambini nel frattempo si sono rifugiati in Kenya, aspettando di ottenere i visti dall’ambasciata italiana a Nairobi. Sono passati tre anni e ancora non hanno ricevuto una risposta. Un modo per accelerare i tempi però esiste: basta pagare. È quello che denuncia da tempo l’Arci: “Abbiamo raccolto una ventina di segnalazioni: i parenti dei rifugiati somali vengono avvicinanti da alcuni trafficanti che chiedono dai 500 ai 2.500 euro a persona a seconda dello step in cui si trova la pratica”, spiega Elvis Koloko dello sportello immigrazione Arci.

L’ambasciata italiana a Nairobi ha affidato il servizio di raccolta deidocumenti per il rilascio del visto ad una agenzia esterna, la Vsf Globalvincitrice di una regolare gara d’appalto. È a questa agenzia che i somali rifugiati in Kenya devono consegnare i documenti che attestano il grado di parentela con i loro familiari in Italia. Il problema è che passano mesi solo per prendere un appuntamento, come è successo ad Adam: “L’ultima volta che mia moglie si è presentata allo sportello dell’agenzia l’hanno minacciata, le hanno detto di presentarsi il 3 settembre 2016 che è sabato, un giorno in cui l’agenzia è chiusa”. L’Arci ha provato più volte a chiedere spiegazioni alla Vsf: “Quando siamo riusciti a parlare con qualcuno hanno negato. Crediamo che sono tutti al corrente di quanto succede ma nessuno fa niente”, continua Koloko.

La Vsf Global non ha risposto alle nostre chiamate e alle nostre mail e l’ambasciata italiana a Nairobi ha negato ogni responsabilità: “L’agenzia non decide l’emissione del visto, ha solo il compito di raccogliere la documentazione e inviarcela”, afferma Andrea Marino, vice capo missione e primo segretario dell’ambasciatore in Kenya, Mauro Massoni. “La cifra di 2.500 euro  – spiega Marino – non è commisurata a quello che la Vsf fa e che noi facciamo. Ci sono pratiche che vanno avanti da più di un anno, ma solo perché a volte mancano i documenti necessari”.

Per l’ambasciata, chi è vittima di estorsioni deve presentare regolaredenuncia. “Ad ogni segnalazione che ci viene fatta, la nostra risposta è sempre quella di fare nomi e cognomi e di rivolgersi sia alle autorità italiane che a quelle keniote”, conlude Marino. I parenti dei rifugiati, però, hanno paura: sono unaminoranza non tutelata, ospite in un Paese in cui la corruzione è presente in tutti i livelli. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, nel 2015 4.942 somali sono scappati dal terrorismo di Al Shaabab e hanno ottenuto laprotezione internazionale in Italia. Chi non è riuscito ad arrivare in Europa si è rifugiato negli Stati confinanti, in Etiopia ma soprattutto in Kenya, dove è presente il più grande insediamento di profughi al mondo: 500mila persone ammassate nei campi di Dadaab, nel nord est del Paese.

L’alternativa per chi non vuole pagare per ottenere il visto è quella di arrivare in Italia in modo illegale, cadendo nella rete dei trafficanti del mare. “Le segnalazioni che abbiamo raccolto sono solo una goccia in mezzo all’oceano, tanti altri non hanno avuto il coraggio di chiederci aiuto – afferma Koloko –. Qualche mese fa ci ha contattato una signora somala che vive a Napoli. Ha pagato per avviare la pratica, sperando che presto sua madre e i suoi due figli sarebbero arrivati nel nostro Paese. Non sapeva però che doveva versare dei soldi anche per il rilascio del visto: le hanno chiesto altri 2.500 euro. Abbiamo contattato l’ambasciata e la Vsf e ci hanno fornito una risposta generica.  Lei allora ci ha detto: ‘Prendete tutto il tempo che vi serve. In Italia ho un buon lavoro, invierò alla mia famiglia in Kenya 300 euro al mese per l’affitto e il cibo. Ma se devo pagare per un mio diritto, non lo farò. Ho già pagato troppo’”.

I deputati Paolo Beni e Lia Quartapelle hanno presentato un’interrogazione parlamentare per denunciare le lunghe attese per arrivare legalmente in Italia dal Kenya. Il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni e il ministro dell’Interno Angelino Alfano non hanno però ancora risposto. Nel frattempo l’ambasciata italiana ha promesso di verificare eventuali irregolarità: “Non posso escludere che ci siano dei malintenzionati che cercano di imbrogliare persone in difficoltà per spillare loro dei soldi. Quello che possiamo fare è aumentare i controlli”, conclude Marino.

Articolo di Maria Gabriella Lanza su Fainotizia.it ( http://www.fainotizia.it/inchiesta/19-02-2016/somali-business-ricongiungimenti-familiari )

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