L’ACCORDO UE-TURCHIA VISTO DALLA GRECIA

Il 18 marzo 2016 l’Europa ha scritto una delle pagine più buie del nostro continente: firmare l’accordo con la Turchia per la gestione dei migranti. Un patto che oltre a violare varie Convenzioni Internazionali – in primis quella di Ginevra e quelle sui diritti umani – lede la dignità di migliaia di persone. In cambio della liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini e l’apertura di vari capitoli sull’annessione all’Unione europea, la Turchia si impegna non solo a controllare le sue coste ma anche a riammettere sul territorio quasi tutti i migranti che sbarcheranno, a partire dal 21 marzo, sulle coste greche. L’accordo si basa sulla falsa idea che la Turchia sia un paese sicuro nonostante tutti sappiano che non lo è né per i rifugiati – avendo firmato la Convenzione di Ginevra con la clausola di protezione per i soli cittadini europei – e ancora meno per i giornalisti, gli attivisti e la popolazione kurda massacrata quotidianamente.

Il 18 marzo, al porto del Pireo di Atene, i 4000 rifugiati che vi sono accampati da più di un mese, hanno seguito preoccupati le informazioni che circolavano di bocca in bocca sul summit dei capi di stato europei. Il campo al porto del Pireo si è formato da quando la frontiera con la Macedonia si è chiusa. Arrivati dalle isole, Siriani, Iracheni e Afgani aspettano l’annuncio dell’apertura a Idomeni. Ora l’accampamento occupa i gate 1, 2 e 3 del porto. Ogni giorno le tende aumentano, sono centinaia quelle che affollano la banchina. Pochi sono gli uomini soli, molte le famiglie, anche con bambini piccolissimi. Manca poco alla fine del Consiglio europeo e un giovane siriano mi chiede preoccupato se è vero che lo rimanderanno in Turchia. “Piuttosto mi uccido” aggiunge. Altri, più speranzosi, mi chiedono a che ora apre la frontiera con la Macedonia, chiusa da inizio marzo. È difficile spiegare il cinismo dei governi europei. Ancora più difficile annunciare loro che le frontiere dei paesi limitrofi alla Grecia non si apriranno più e che per i quasi 50.000 profughi presenti in Grecia due saranno le possibilità: pagare un trafficante e cercare di aggirare i militari macedoni , bulgari e albanesi o chiedere l’asilo in Grecia con una bassissima possibilità di ottenerlo. Per i Siriani e gli Iracheni resta sempre la possibilità di fare ricorso alla relocation. Peccato che ad oggi i posti resi disponibili dagli Stati Membri siano 7000 da Italia e Grecia sui 160.000 promessi ed i paesi di possibile destinazione siano Portogallo, Romania e Bulgaria, dove pochi vogliono andare.

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                                                                                                    Ph. Sara Prestianni

Un destino ancora peggiore toccherà a chi arriverà in Grecia nei prossimi giorni. Dopo aver rischiato la vita su un canotto gonfiabile, se sono siriani saranno rispediti direttamente in Turchia. Al posto loro – in un esercizio di estremo cinismo – sarà scelto un altro siriano che non ha mai tentato la traversata e che verrà reinsediato in un paese europeo, fino a un primo tetto massimo di 18.000 persone. Gli altri, Afghani, Iracheni, Pakistani vedranno la loro richiesta d’asilo analizzata sulle isole greche in procedura accelerata per poter essere rapidamente riammessi in caso di diniego. In sintesi, quasi tutti coloro che arriveranno sulle coste greche saranno rinviati in Turchia. A questo scopo l’agenzia europea Frontex ha già promesso 8 navi e 28 pullman per organizzare l’ignobile spola delle riammissioni. Poco sembra importare agli Stati europei che ci siano già stati numerosi casi di espulsioni di siriani verso il loro paese in guerra e che nelle prigioni turche siano detenuti centinaia di migranti.

Questo accordo ha lo scopo annunciato di dissuadere i migranti a prendere il mare per la rotta egea, oltre a trasformare la Grecia, con la chiusura della frontiera macedone, in un “campo” a cielo aperto. Il Governo greco si è trovato , dopo i mesi di apertura del “corridoio dei balcani”, a dover gestire, da novembre 2015, l’arbitraria selezione fatta ad Idomeni dal Governo macedone sulla pressione delle istituzioni europee che lasciava passare solo siriani, iracheni ed afgani fino alla repentina chiusura della frontiera, nel marzo 2016. Ad un ritmo di arrivi sulle isole di 1000/2000 migranti al giorno, in poco tempo sono rimaste intrappolate sul territorio greco 47.000 persone. Circa 10.000 sono accampati a Idomeni nella vana speranza che la frontiera si riapra, 4.000 campano nel porto del Pireo, i restanti sono ‘accolti’ in strutture che il Governo greco si è trovato ad aprire in tutta fretta. L’Unione europea vuole trasformare la Grecia in un paese d’accoglienza suo malgrado e contro la volontà di migliaia di migranti che sbarcano sulle isole e che se ne vorrebbero andare quanto prima. Molti dei migranti intrappolati oggi in Grecia hanno padri, mariti, legami familiari già in altri paesi europei ma non sanno come raggiungerli. Questa chiusura, cosi com’è stato nel passato anche su altre frontiera, sta provocando il fiorire di trafficanti di ogni tipo che promettono un passaggio a caro prezzo verso l’Europa. I centri di accoglienza dispersi in tutta la Grecia, aperti sulla pressione europea che ha imposto il passaggio da 1.200 a 100.000 posti di accoglienza in qualche mese, sono solo degli appoggi transitori in una situazione di emergenza. Elleniko – gestito dal Ministro dell’Immigrazione – è composto da tre strutture: la sede del vecchio aeroporto della capitale greca e due stadi aperti per le Olimpiadi. In tutto accoglie 4.000 persone, principalmente afgani. A causa del Memorandum della Troika e della riduzione dei costi, il governo può pagare solo 3 coordinatori per gestire strutture di tale portata. Il tutto funziona solo grazie alla presenza di decine di volontari, greci e internazionali, che giorno e notte si danno il cambio per assicurare cibo e beni di prima necessità, oltre alle organizzazioni internazionali che forniscono assistenza medica.

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                                                                                                     Ph. Sara Prestianni

Sono tanti i dubbi e i quesiti che lascia aperto questo accordo sugli effetti a breve e lungo termine per la vita di migliaia di persone. Come faranno a non violare la legge greca che prevede che le richieste di asilo siano analizzate solo da personale greco se l’Ue intende inviare 4.000 funzionari per farsi carico della gestione degli arrivi? Se il ritmo degli sbarchi rimane invariato come si gestiranno migliaia di domande sugli hotspot delle isole – diventati ufficialmente centri di detenzione- senza che la situazione esploda? Che sorte toccherà a chi sarà riammesso in Turchia, si procederà alla sua detenzione o sarà obbligato ad una vita senza futuro in un paese dove non vuole stare? È lecito anche chiedersi che fine faranno i 6 miliardi di euro promessi dalla Ue alla Turchia. Finiranno, come succede troppo spesso negli accordi sull’immigrazione con i paesi di origine e transito, nelle tasche del capo del Governo piuttosto che essere usati per gli scopi annunciati?

Viene naturale anche pensare all’apertura di rotte alternative. Cosi come ci ha insegnato la storia delle migrazioni, la chiusura di una rotta non farà altro che provocare l’apertura di un’altra, non fermerà certo chi fugge da un paese in conflitto. Ci sono forti possibilità che la rotta per la quale decideranno di passare siriani ed iracheni sia proprio quella libico/egiziana verso l’Italia.

 

Di Sara Prestianni, campagne Arci Immigrazione  e reti internazionali

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