Missione in Gambia

cx0_cy5_cw0_mw1024_s_n_r1.jpgCome riportato dal giornale gambiano The Point, una delegazione composta da rappresentanti della Polizia Scientifica e della cooperazione italiana si è recata  il 10 maggio in Gambia. Nell’ottica del Migration Compact, l’incontro ha avuto come principale obiettivo quello di trattare con la dittatura di Yahya Jammeh per facilitare l’espulsione dei migranti gambiani presenti in Italia  e per bloccare ulteriori arrivi. Non è la prima volta che l’Italia firma accordi con questo paese – altri memorandum erano stati firmati nel 2011 e 2013. Ora però la posta in gioco è sicuramente più alta visto che i gambiani sono la seconda nazionalità tra quelle registrate sulle nostre coste, con poco più di 8500 domande d’asilo presentate nel 2015. Nonostante in Gambia ci sia un regime dittatoriale, un’economia asfittica e una repressione sistematica di attivisti e giornalisti, l’Italia punta a rafforzare la polizia gambiana perché controlli meglio le sue frontiere, impedendo a chi cerca di fuggire di uscire dal paese.

Per convincere la dittatura gambiana alla collaborazione, l’Italia ha promesso di inviare 50 veicoli per il controllo delle frontiere con il Senegal da cui i richiedenti asilo transitano per raggiungere il Mali, l’Algeria, la Libia e l’Italia.  Come ‘regalo’ affinché accetti i gambiani espulsi dal nostro paese e nell’ottica di rendere efficaci i controlli alle frontiere, l’Italia ha promesso anche 250 computers, 250 scanners e 250 stampanti.

Questa visita appare ancora più grave se pensiamo che l’Italia ha riconosciuto, nel 2015, 2546 protezioni umanitarie, 194 sussidiare e 250 status di rifugiati ai Gambiani. Se l’accordo diventa operativo persone che potrebbero ottenere lo status di rifugiato o una qualche forma di protezione, verrebbero rimandato indietro o bloccate prima di partire, lasciando nelle mani di un regime antidemocratico la sorte di chi fugge proprio da quel regime. Un chiaro esempio di esternalizzazione delle frontiere e dei controlli che, abbandonando qualsiasi parvenza di interesse per i diritti umani, allontana dal nostro Paese e dall’UE, per pochi denari, la responsabilità di dare protezione alle persone che ne hanno diritto.

 Cosi come avevamo denunciato nel caso dell’Eritrea, questa collaborazione con le dittature da cui partono i richiedenti asilo che arrivano sulle nostre coste è molto pericolosa. Nel caso del Gambia va sottolineato anche il rischio legato ad una forma di criminalizzazione al ritorno, per cui, come da tradizione nei regimi dittatoriali, chi emigra è considerato un disertore e rischia al ritorno la prigione e altre forme di persecuzione.

Un bel capolavoro che anticipa la stagione Migration Compact, nella linea tracciata dall’accordo con la Turchia, con la retorica dell’ «aiutiamoli a casa loro», intendendo forse che li aiutiamo a morire o ad andare in prigione e a essere torturati a casa loro.

di Sara Prestianni, Ufficio immigrazione Arci

 

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