Cara Gabanelli, serve una riforma del sistema pubblico d’accoglienza

da Huffington Post, 3 marzo 2017 di Filippo Miraglia Vicepresidente Arci

Da alcuni mesi Milena Gabanelli, giornalista molto nota che ha condotto una delle poche trasmissioni televisive d’inchiesta, Report, su Rai Tre, porta avanti una proposta sul sistema d’accoglienza per richiedenti asilo che, per chi come noi lavora da anni in quest’ambito, risulta assolutamente incomprensibile.

La tesi della Gabanelli è che per accogliere chi arriva sulle nostre coste, con i numeri di questi ultimi anni, bisogna mettere in piedi una rete di grandi centri d’accoglienza, utilizzando le caserme dismesse e luoghi simili, in modo da avere un sistema pubblico con grande capacità d’accoglienza (secondo la giornalista 400 luoghi con 500 posti ciascuno per un totale di 200 mila posti).

L’obiettivo dichiarato della proposta, fare dell’accoglienza una grande opportunità pubblica, è già parzialmente attuato dal sistema SPRAR, che è pubblico, trasparente e con standard e regole definite.

L’altra sera l’abbiamo sentita, nel confronto con Meloni durante la trasmissione di Bianca Berliguer #cartabianca, ribadire questa proposta e contestualmente sostenere la bontà del decreto Orlando-Minniti.

È bene ricordare che i due decreti Legge Orlando-Minniti hanno come obiettivo quello di restringere le garanzie e le libertà delle persone di origine straniera (quello sull’immigrazione) e dei più poveri (quello sulla sicurezza), soggetti che peraltro spesso coincidono e che purtroppo non hanno nessuna lobby che li sostiene, se non le organizzazioni sociali. Queste ultime sono poco considerate dai giornalisti (oltre che dalla maggioranza dei partiti), forse anche mal viste, in ragione della loro implicazione nell’attuale sistema d’accoglienza, sul quale non si fanno distinzioni.

Anzi si tende proprio a fare di tutta l’erba un fascio, senza tener conto, forse per mancanza di informazioni, delle differenze non trascurabili per esempio tra il sistema dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), promossi dalle prefetture, e lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).

Entrambi in realtà sono sistemi pubblici finanziati dal governo tramite il Ministero dell’Interno. Quello dei CAS però è un sistema che salta ogni legame con le amministrazioni pubbliche locali, ricorrendo ad affidamenti, tramite bandi pubblici, a soggetti privati, anche profit (Hotel, B&B, etc…). Il secondo, lo SPRAR, è invece una rete, più piccola ma molto diffusa, che fa capo agli enti locali e a organizzazioni che devono dimostrare di avere esperienza e competenza, che presentano un progetto, insieme al Comune, e devono rendicontare ogni spesa. Un sistema che prevede quindi un controllo e un monitoraggio costanti e trasparenza nella spesa e nelle procedure.

Ma è bene ancor prima sottolineare le grandi differenze tra un sistema di centri diffusi e inseriti nel tessuto urbano, di grandi e piccole città, e quello che propone Milena Gabanelli.

Partendo da una premessa: un sistema pubblico di grandi centri, affidati con appalti al privato sociale (spesso grandi cooperative e organizzazioni parastatali come la Croce Rossa), esiste già e ne conosciamo i limiti e le contraddizioni. Citiamo a titolo di esempio solo un caso, quello del CARA di Mineo, con il suo carico di inchieste per corruzione.

Ma il punto non è il sistema di affidamento, e tanto meno i soggetti affidatari, fermo restando che è necessario avere competenze ed esperienza. Il punto è il modello. Grandi numeri vuol dire nessuna autonomia e responsabilità da parte delle persone accolte, che sono semplicemente assistite e non accompagnate verso un processo di emancipazione, qualsiasi sia l’esito della domanda.

Grandi numeri vuol dire grandi investimenti, sollecitando l’interesse di grandi gruppi organizzati, che spesso non hanno legami nè con il territorio nè con i soggetti sociali presenti.

Grandi numeri vuol dire soprattutto che le persone non vengono considerate tali, non è possibile seguirne in maniera adeguata i percorsi individuali, gli eventuali traumi subiti. Grandi numeri vuol dire servizi collettivi e necessità di controlli di polizia. Ma vuol anche dire, come ci insegna l’esperienza, possibilità di infiltrazioni della criminalità e illegalità diffusa.

Grandi numeri vuol dire poi un impatto negativo sul territorio, che percepisce l’immagine del ghetto separato, alimentando in tal modo l’intolleranza che spesso sfocia in razzismo. Grandi numeri infine vuol dire maggiori costi e grandi sprechi, proprio in virtù di quanto detto e contrariamente a quel che si pensa.

L’accoglienza di chi arriva in Italia per chiedere protezione (la differenza tra chi ne ha diritto e chi no la determina solo la procedura di legge e non altro) è una questione seria e il modello per piccoli centri, come lo SPRAR, diffusi nelle nostre comunità, con un ruolo di mediazione svolto dalle organizzazioni sociali e dalle amministrazioni pubbliche è la strada migliore, che consente di non considerare le persone numeri e riconoscerne la dignità che merita ogni essere umano, senza alimentare razzismo, ingiustizie e corruzione.

A questo va aggiunta la necessità di una riforma del sistema pubblico d’accoglienza che consenta di avere una rete unica e unitaria, con standard condivisi e commissioni indipendenti e professionalizzate.

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