Una buona ripartenza del sistema Sprar

da ArciReport, 22/02/2018 di Walter Massa, coordinatore nazionale del sistema Accoglienza Arci

È stata una due giorni importante la prima Conferenza nazionale delle operatrici e degli operatori Sprar tenutasi a Roma nei giorni scorsi. Da tempo, come Arci, chiedevamo un momento di ascolto e confronto con chi tutti i giorni si trova in frontiera a costruire accoglienza e inclusione. Occorreva a nostro avviso un momento di riflessione comune anche per rilanciare un sistema che nell’ultimo anno e mezzo abbiamo visto paurosamente regredire, nonostante gli annunci, le promesse e i decreti ministeriali. Regredire in favore dell’altro sistema (Cas) che invece continua ad essere lo strumento ‘preferito’ dalle Prefetture e, secondo noi, il più pericoloso sotto il profilo della trasparenza e il meno efficace per ciò che riguarda le pratiche d’inclusione. Un sistema pubblico dove l’alleanza territoriale tra enti locali e terzo settore è il cuore del progetto stesso, finanziato e monitorato dalle Istituzioni rimane lo strumento migliore anche per stemperare odio e razzismo di cui siamo abbondantemente colmi. La Conferenza ha messo in risalto l’orgoglio, la professionalità e i valori di una comunità di oltre 11mila operatori, senza i quali, oggettivamente, questo Paese sarebbe stato in grande difficoltà e gli interventi che si sono succeduti sono lì a testimoniarlo. Ma non è stato tutto rose e fiori; molti aspetti critici sono emersi, come è giusto che sia. L’eccessiva burocratizzazione del sistema che rende di fatto più conveniente lasciar fare alle Prefetture; la debolezza che si avverte nel Servizio Centrale a causa di un aumento esplosivo (da 3000 posti del 2014 a 35000 nel 2018) dei beneficiari accolti e dunque una sua più significativa lontananza dal territorio e un cambio di rotta deciso da parte dello stesso Ministero sono state le questioni più gettonate negli oltre 40 interventi. Anche gli operatori Arci hanno avuto il loro spazio e sono intervenuti in quasi tutte le sessioni tematiche organizzate. Come abbiamo rivendicato con un volantino distribuito alla Conferenza, «Rimaniamo convinti che il miglior progetto sia solo quello che preveda un ingresso da beneficiari e un’uscita da cittadini, autonomi e responsabili. Migliore per loro, per noi e per le nostre comunità. E a quest’obiettivo non intendiamo rinunciare. Dietro quest’obiettivo c’è un’idea del mondo, del nostro Paese e dell’Europa a cui ci sentiamo di appartenere». Con questo approccio siamo stati presenti alla Conferenza e, soprattutto continueremo a lavorare nel territorio. Chi pensa, dunque, di avere a che fare con ‘bravi professionisti dell’accoglienza’ in cui il bravi significa, sostanzialmente, evitare di ‘disturbare il manovratore’ o peggio non avere uno straccio di idea sul mondo, non solo si sbaglia ma troverà in noi degli ostinati avversari. «Noi, infatti, non possiamo accettare che mentre la mano sinistra si occupa di accoglienza in Italia, quella destra si renda complice della gestione di veri e propri campi di concentramento, con il loro carico di violenza, tortura e morte. È una palese contraddizione con quello che ogni giorno facciamo nei nostri progetti di accoglienza».

 

 

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