Sabir può diventare un luogo permanente di confronto e proposta

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Viviamo un tempo straordinario. Un tempo di immani tragedie umane, dalla Siria ai migranti, e forti avversari sono all’offensiva. Il futuro delle due rive del Mediterraneo rischia di essere consegnato a forze oscurantiste – l’estrema destra in Europa, l’integralismo violento a sud.

Il ‘lato buono’ della nostra regione, il popolo della democrazia e dei diritti, non è piccolo e forse è addirittura maggioranza. Ma non lo sappiamo, siamo troppo sparpagliati per riuscire a contarci, né a contare come si dovrebbe.

Talvolta il volto bello dell’Europa, del Maghreb e del Mashrek riesce a rendersi visibile, a segnare la politica e persino la cultura – come hanno fatto questa estate i meravigliosi volontari sulla rotta balcanica.

Qualche volta riesce a vincere e a resistere come in Grecia, nonostante la violenza che colpisce chi si azzarda a contestare l’Europa mainstream la quale, seminando austerità e distruggendo welfare, ha aiutato i demoni europei a uscire dal vaso di Pandora. O come la piccola Tunisia, con la sua intelligente società civile che ha salvato il paese dalla guerra civile, difendendo la sua rivoluzione, tenendo aperto il percorso, duro e accidentato, della transizione democratica – e per questo ha guadagnato il premio Nobel per la pace. Ma per cercare di affrontare un conflitto così difficile non possiamo pensare che sia consentito a nessuno andare avanti con il business as usual, anche se il lavoro che quotidianamente facciamo è importante e necessario.

Sappiamo tutti che servirebbe uno scatto in avanti. Ma quale? E come?

È questa la domanda che abbiamo posto ai circa cento attivisti e dirigenti di società civile di tanti paesi europei, mediterranei e africani invitati a Sabir per animare l’incontro internazionale Le migrazioni al cuore della crisi mediterranea ed europea. Ne è emerso un dibattito vero, intenso nonostante i tempi stretti. Ne è venuta una richiesta corale all’Arci di proseguire questo dibattito e di renderlo permanente. Sabir ha dimostrato che, a differenza di alcuni anni fa, c’è una larga condivisione di piattaforma politica – no ai muri, accoglienza, no all’austerità, diritti umani sociali civili e culturali, alternativa di sviluppo, democrazia radicale e centralità della questione mediterranea. È condivisa e praticata da tanti soggetti diversi – reti strutturate e attivisti di base, est e ovest, nord e sud, volontari e sindacalisti, esperienze sociali che fanno riferimento a diverse culture politiche, dalla Caritas alla sinistra radicale al socialismo più avanzato. Ma non abbiamo sedi di confronto e di raccordo permanente. Ciascuno ha le sue, ma un luogo unitario non c’è. Ne avremmo bisogno. Per darci forza a vicenda, per tenere insieme i temi che sappiamo devono necessariamente interconnettersi, per aiutarci al bisogno – non ripetendo più l’errore dello scorso luglio, quando la Grecia ha dovuto combattere contro l’Eurogruppo sostanzialmente da sola.

Per cercare di coordinare le agende e i calendari. Per sognare di poter trovare le forme adeguate all’oggi di farci vedere, qualche volta almeno, tutti insieme. Per fare avanzare il progetto di un Mediterraneo giusto, non più periferico, senza il quale l’Europa tutta non si potrà salvare.

Sabir non era un congresso, non abbiamo votato niente, non c’era niente da decidere.

Abbiamo posto una domanda. Ed è finito con una domanda rivolta a noi: avete voglia, voi dell’Arci, di continuare a facilitare il lavoro per tenerci in rete? È un segno di stima, e di fiducia. Un bel regalo. Bisognerà provarci, tutti insieme.

di Raffaella Bolini, relazioni internazionali Arci

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