Un contributo al dibattito sull’uso del burkini

Come spesso accade, nelle società occidentali sul corpo delle donne si concentrano i limiti e le contraddizioni di democrazie sempre più fragili, che creano disuguaglianze e discriminazioni.

L’idea del governo di Parigi di vietare il burkini, per fortuna scongiurata dalla sentenza del Consiglio di Stato francese, è frutto da un lato dell’incapacità della classe dirigente europea di interpretare i fenomeni sociali e culturali che attraversano la società, e dall’altra di una mal celata tendenza alla discriminazione contro i musulmani.

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Gli interventi che hanno caratterizzato la discussione pubblica su questa vicenda, hanno trascurato due questioni centrali se si vuole favorire, come dicono tutti, l’emancipazione delle donne che subiscono limiti e divieti imposti da una cultura patriarcale e maschilista, che trova spesso giustificazione nelle religioni.

Sia i sostenitori della linea ‘multiculturalista’ (cioè coloro che teorizzano la libertà di ogni gruppo di praticare le proprie regole e i propri costumi), sia i sostenitori della primazia della cultura illuminista, che vieta ogni comportamento che limiti le libertà e obblighi, in questo caso le donne, a comportamenti imposti dai maschi o dalla religione, non prendono in considerazione che qualsiasi processo di emancipazione ha bisogno del protagonismo dei soggetti sociali coinvolti per potersi sviluppare.

Pensare di poter discutere in astratto se sia meglio vietare o consentire l’uso del burkini è inutile se non si tiene conto che le donne, musulmane o non, per decidere autonomamente se indossarlo o meno hanno bisogno di emanciparsi dal ruolo che nei gruppi di provenienza viene loro assegnato.

L’emancipazione, parafrasando una frase famosa, non è un pranzo di gala. Ma soprattutto non avviene per imposizione dall’alto, da parte di uno stato che si sostituisce ai padri/mariti e ne ripropone la relazione di subordinazione. Per portare avanti un processo di liberazione c’è bisogno di tempo e di condizioni favorevoli. Condizioni che la società e lo stato possono favorire o ostacolare.

E veniamo al secondo argomento poco o per niente affrontato.

L’attacco al burkini contribuisce ad alimentare un clima di odio e intolleranza contro il mondo musulmano. L’aumento della retorica pubblica anti islamica, di cui il dibattito sul burkini è parte integrante, spinge chi professa quella fede a rinchiudersi sempre più dentro il proprio gruppo.

Se si vuole favorire l’emancipazione delle donne bisogna partire da casa nostra, dalle nostre regole e dal modo in cui trattiamo le donne di origine straniera e le loro famiglie. Finché la rappresentazione pubblica e le politiche saranno orientate alla chiusura e alla discriminazione si favorirà  la chiusura identitaria e il consolidamento della cultura patriarcale.

Prima ancora di scegliere se sia più giusto impedire o permettere, è necessario rimuovere gli ostacoli, come recita la nostra Costituzione, e consentire un processo di emancipazione di cui le donne devono essere protagoniste, senza contribuire a costruire un fossato tra le famiglie di  religione islamica e il resto della società.

di Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale Arci

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