I pessimi risultati del summit di Parigi

 

da ArciReport del 08/09/2017 di Sara Prestianni

Il 28 agosto scorso a Parigi si è tenuto l’ennesimo summit sulla Migrazione. La sede era Parigi. Gli invitati: Francia, Spagna, Germania, Italia tra gli Stati Membri; Niger, Tchad e Libia per i paesi Africani. La scelta dei paesi seduti a questo tavolo  lascia intuire la strategia che soggiace all’incontro: focalizzare l’attenzione sul Sahel, incrociando gli interessi della migrazione a quelli economici e geopolitici.  La scelta di Parigi invece fa chiaramente emergere una volontà del nuovo Presidente francese Macron di riprendere in mano un ruolo di leader sia sul tema immigrazione che in modo più ampio in Africa. La principale proposta che emerge nell’ambito della migrazione è quella della creazione di hotspot da installare tra Niger e Tchad. Se i leader africani hanno reagito scetticamente alla proposta, Macron insiste sull’idea, ipotizzando che la selezione tra migranti economici e rifugiati – tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ – la possano fare le agenzie europee preposte al controllo delle domande d’asilo, cominciando dalla francese OFPRA. Risulta evidente come la Francia,  dopo aver boicottato l’operazione militare italiana ‘deserto rosso’ proposta da Minniti,  riprenda la mano in quello che è uno dei paesi di suo storico interesse. Sulla Libia sembra invece rispettare le scelte internazionali di limitare l’invito solo a Al Sarraj, nonostante i noti rapporti anche con Haftar.

Sul versante migrazione, in Niger e Tchad si punta al blocco delle partenze attraverso l’installazione di campi ‘selettivi’ in Libia, mentre la strategia che sembra emergere a firma del nostro governo è quella di trattare con le milizie di Zawiya e Sabrata perché chi, fino a pochi giorni fa, caricava i barconi di migranti diventi il gendarme dell’Europa. Una strategia che non potrà durare a lungo, a meno che non si disponga di fondi che riescano a sostituire il corrispettivo delle entrate del business delle partenze.

Una proposta che dimostra tutta la debolezza del Governo con cui il 3 febbraio scorso l’Italia ha firmato un accordo e che allontana sempre di più la Libia da un già fragilissimo processo di pace.

Il documento che viene prodotto dal Summit è pieno di buoni intenti: salvare vite umane e rispetto dei diritti. La realtà che emerge però è ben diversa e smaschera l’ipocrisia di quelle parole e dei discorsi dei capi di Stato: centri di detenzioni sovraccarichi di uomini, donne e bambini, vittime di trattamenti inumani e degradanti; migranti costretti ad uscire dalle piste battute che rischiano di morire disidratati nel deserto nel tentativo di fuggire ai militari addestrati dalle forze europee; nuove rotte che si aprono, sempre più pericolose e lunghe. A questo quadro si aggiunge una rivendicata sovranità fino a 100 miglia dalle coste libiche da parte della Marina di Tripoli che ha obbligato le ong a ritirarsi dal mare, lasciando un pericolosissimo vuoto di cui saranno responsabili gli stati seduti al tavolo di Parigi il 28 agosto scorso che hanno provocato questa situazione.

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